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Cesare Pavese nacque il 9 settembre 1908 nel cascinale di San Sebastiano,
dove la famiglia trascorreva il periodo estivo, a Santo Stefano Belbo,
un piccolo paese nelle Langhe, in provincia di Cuneo. Il padre Eugenio
era cancelliere presso il Palazzo di Giustizia di Torino, dove risiedeva
con la moglie Consolina Mesturini, figlia di commercianti benestanti di
Ticineto, e la primogenita Maria, nata nel 1902, in un appartamento al
numero 79 di via XX Settembre.Malgrado l'agiatezza economica, l'infanzia
di Pavese non fu felice: una sorellina e altri due fratelli, nati prima
di lui, erano morti prematuramente. La madre, fragile di salute, dovette
affidare il bambino subito dopo la nascita a una balia del vicino paese
di Montecucco, e poi, quando lo portò con sé a Torino, a
un'altra balia, Vittoria Scaglione.Suo padre morì il 2 gennaio
1914 di un cancro al cervello, quando Cesare aveva solamente cinque anni.
Come è stato scritto, «c'erano già tutti i motivi
familiari e affettivi per far crescere precocemente il piccolo
Cesare [...] per una preistoria umana e letteraria che avrebbe accompagnato
e segnato la vita dello scrittore». La madre, fornita di un carattere
autoritario, dovette così allevare da sola i due figli impartendo
loro un'educazione molto rigorosa e contribuendo indirettamente ad accentuare
il carattere già introverso e instabile di Cesare.
Gli studi
Cesare Pavese, il primo a sinistra in seconda fila, studente del Liceo
D'Azeglio di Torino, nel 1923. Nell'autunno dello stesso anno in cui morì
il padre, la sorella si ammalò di tifo e la famiglia fu costretta
a rimanere a Santo Stefano Belbo dove Cesare frequentò la prima
elementare; le altre quattro classi del ciclo le finì a Torino,
presso l'istituto privato "Trombetta" di Via Garibaldi. Come
scrive Armanda Guiducci,[2] «S. Stefano fu il luogo della sua memoria
e immaginazione; il luogo reale della sua vita, per quarant'anni, fu Torino».
Lungo lo stradone che porta da Santo Stefano Belbo a Canelli, nella bottega
del falegname Scaglione, Cesare conobbe Pinolo, il più piccolo
dei figli che descriverà in alcune sue opere, soprattutto ne La
luna e i falò dove comparirà col soprannome di Nuto e al
quale rimarrà sempre legato.Nel frattempo Consolina, non riuscendo
più a sostenere la gestione dei mezzadri e soprattutto le spese,
prese la decisione, nel 1916, di vendere la cascina di San Sebastiano
e di andare a vivere con i figli in una piccola villa che aveva comprato
in collina a Reaglie, frazione del Comune di Torino. Dopo la scuola elementare,
a Torino Cesare frequentò le scuole medie presso l'Istituto Sociale
diretto dai gesuiti e in seguito si iscrisse al Liceo classico Cavour
dove frequentò i due anni ginnasiali con l'indirizzo moderno (Liceo
moderno), che non prevedeva lo studio della lingua greca. In quegli anni
iniziò ad appassionarsi alla letteratura e i suoi primi autori
di riferimento furono Guido da Verona e Gabriele D'Annunzio. Con il compagno
di studi Mario Sturani, col quale strinse una solida amicizia durata tutta
la vita, cominciò a frequentare la Biblioteca Civica e a scrivere
i primi versi, ampliando così i suoi interessi.
Pavese si iscrisse al liceo D'Azeglio nell'ottobre del 1923 e scoprì
l'opera di Alfieri. Passò gli anni di liceo tra i primi amori adolescenziali
e le amicizie con un gruppo di compagni, tra i quali Tullio Pinelli, amico
al quale Pavese farà leggere per primo il dattiloscritto di Paesi
tuoi e invierà una lettera di addio prima del suicidio. Cesare
rimase a lungo a casa da scuola a causa di una pleurite che si era preso
rimanendo a lungo sotto la pioggia per aspettare una cantante ballerina
di varietà in un locale frequentato dagli studenti, della quale
si era innamorato. Era il 1925 e frequentava allora la seconda liceo.
L'anno seguente fu scosso profondamente dalla tragica morte di un suo
compagno di classe, Elio Baraldi, che si era tolto la vita con un colpo
di rivoltella. Ebbe la tentazione di copiare quel gesto. Testimonianza
di questo sofferto periodo sono le lettere e la poesia inviata il 9 gennaio
1927 all'amico Sturani.
« Sono andato una sera di dicembre/ per una stradicciuola di campagna/
tutta deserta, col tumulto in cuore./ Avevo dietro me una rivoltella.
»Gobettiano fu il suo insegnante di latino e greco, l'antifascista
Augusto Monti, che gli insegnò un metodo rigoroso di studio improntato
all'estetica crociana frammista di alcune concezioni di De Sanctis.Nel
1926, conseguita la maturità liceale, inviò alla rivista
"Ricerca di poesia" alcune liriche, che furono però respinte.
Si iscrisse intanto alla Facoltà di lettere dell'Università
di Torino e continuò a scrivere e a studiare con grande fervore
l'inglese, appassionandosi alla lettura di Walt Whitman, mentre le sue
amicizie si allargarono a coloro che diventeranno, in seguito, intellettuali
antifascisti di spicco: Leone Ginzburg, Norberto Bobbio, Massimo Mila
e Giulio Einaudi.
L'interesse per la letteratura americana divenne sempre più rilevante
e così iniziò ad accumulare materiale per la sua tesi di
laurea, mentre proseguivano i timidi amori permeati dalla sua visione
angelicante della donna. Intanto si appassionava sempre più alla
sua città, e così scriveva all'amico:
« Ora io non so se sia l'influenza di Walt Whitman, ma darei 27
campagne per una città come Torino. La campagna sarà buona
per un riposo momentaneo dello spirito, buona per il paesaggio, vederlo
e scappar via rapido in un treno elettrico, ma la vita, la vita vera moderna,
come la sogno e la temo io è una grande città, piena di
frastuono, di fabbriche, di palazzi enormi, di folle e di belle donne
(ma tanto non le so avvicinare)[5]. »
Cesare Pavese. Leggendo Babbit di Sinclair Lewis, Pavese volle capire
a fondo lo slang. Iniziò così una fitta corrispondenza con
un giovane italoamericano, conosciuto qualche anno prima a Torino, che
lo aiutò ad approfondire l'americano a lui più contemporaneo.
Scrisse infatti ad Antonio Chiuminatto:
« ora io credo che lo slang non è una lingua distinta dall'inglese
come per esempio il piemontese dal toscano... Lei dice: questa parola
è slang e quest'altra è classica. Ma lo slang è forse
altra cosa che il tronco delle nuove parole ed espressioni inglesi, continuamente
formate dalla gente che vive, come lingue di tutti i tempi? Voglio dire,
non c'è una linea che possa essere tracciata tra le parole inglesi
e quelle dello slang come tra due lingue diverse...[6] ». Negli
anni successivi, proseguì gli studi con passione, scrisse versi
e lesse molto, soprattutto autori americani come Lewis, Hemingway, Lee
Masters, Cummings, Lowell, Anderson e la Stein; iniziò a tradurre
per l'editore Bemporad Our Mr. Wrenn di Sinclair Lewis e scrisse per Arrigo
Cajumi, membro del comitato direttivo della rivista "La Cultura",
il suo primo saggio sull'autore di Babbitt iniziando così la serie
detta "Americana".
Nel 1930 presentò la sua tesi di laurea "Sulla interpretazione
della poesia di Walt Whitman" ma Federico Oliviero, il professore
con il quale doveva discuterla, la rifiutò all'ultimo momento perché
troppo improntata all'estetica crociana e quindi scandalosamente liberale
per l'età fascista. Intervenne però Leone Ginzburg: la tesi
venne così accettata dal professore di Letteratura francese Ferdinando
Neri e Pavese poté laurearsi con 108/110[7]. Nello stesso anno
morì la madre e Pavese rimase ad abitare nella casa materna con
la sorella Maria, dove visse fino al penultimo giorno della sua vita e
iniziò, per guadagnare, l'attività di traduttore in modo
sistematico alternandola all'insegnamento della lingua inglese.
Per un compenso di 1000 lire tradusse Moby Dick di Herman Melville e Riso
nero di Anderson. Scrisse un saggio sullo stesso Anderson e, ancora per
"La Cultura", un articolo sull'Antologia di Spoon River, uno
su Melville e uno su O. Henry. Risale a questo stesso anno la prima poesia
di Lavorare stanca. Ottenne anche alcune supplenze nelle scuole di Bra,
Vercelli e Saluzzo e incominciò anche a impartire lezioni private
e a insegnare nelle scuole serali. Nel periodo che va dal settembre 1931
al febbraio 1932 Pavese compose un ciclo di racconti e poesie dal titolo
Ciau Masino rimasto a lungo inedito, che verrà pubblicato per la
prima volta nel 1968 in edizione fuori commercio e contemporaneamente
nel primo volume dei Racconti delle "Opere di Cesare Pavese".
Nel 1932, per poter insegnare nelle scuole pubbliche si arrese, pur malvolentieri,
alle insistenze della sorella e di suo marito e si iscrisse al partito
nazionale fascista, cosa che rimprovererà più tardi alla
sorella Maria in una lettera del 29 luglio 1935 scritta dal carcere di
Regina Coeli: "A seguire i vostri consigli, e l'avvenire e la carriera
e la pace ecc., ho fatto una prima cosa contro la mia coscienza".
Continuava intanto l'attività di traduttore, che terminò
solamente nel 1947. Nel 1933 tradusse Il 42º parallelo di John Dos
Passos e The Portrait of the Artist as a Young Man di James Joyce. Ebbe
inizio in questo periodo un tormentato rapporto sentimentale con Tina
Pizzardo, la "donna dalla voce rauca" alla quale dedicherà
i versi di Incontro nella raccolta Lavorare stanca.
« ... L'ho incontrata una sera: una macchia più chiara/ sotto
le stelle ambigue, nella foschia d'estate./ Era intorno il sentore di
queste colline/ più profondo dell'ombra, e d'un tratto suonò/
come uscisse da queste colline, una voce più netta/ e aspra insieme,
una voce di tempi perduti.[8] »
L'incarico all'Einaudi
Giulio Einaudi aveva intanto fondato la sua casa editrice. Le due riviste,
"La riforma sociale" di Luigi Einaudi e "La Cultura",
che era stata concepita da Cesare De Lollis e in quel momento era diretta
da Cajumi, si fusero dando vita a una nuova "La Cultura" della
quale doveva diventare direttore Leone Ginzburg. Ma molti partecipanti
del movimento "Giustizia e Libertà", tra cui anche Ginzburg,
all'inizio del 1934 vennero arrestati e la direzione della rivista passò
a Sergio Solmi. Pavese, intanto, fece domanda alla casa editrice per poter
sostituire Ginzburg e, dal maggio di quell'anno, essendo egli tra i meno
compromessi politicamente, incominciò la collaborazione con l'Einaudi
dirigendo per un anno "La Cultura" e curando la sezione di etnologia.
Sempre nel 1934, grazie alla raccomandazione di Ginzburg, riuscì
ad inviare ad Alberto Carocci, direttore a Firenze della rivista Solaria,
le poesie di Lavorare stanca che vennero lette da Elio Vittorini con parere
positivo tanto che Carocci ne decise la pubblicazione.
L'arresto e la condanna per antifascismo
Cesare PaveseNel 1935 Pavese, intenzionato a proseguire nell'insegnamento,
si dimise dall'incarico all'Einaudi e incominciò a prepararsi per
affrontare il concorso di latino e greco ma, il 15 maggio, in seguito
ad altri arresti di intellettuali aderenti a "Giustizia e Libertà",
venne fatta una perquisizione nella casa di Pavese, sospettato di frequentare
il gruppo di intellettuali a contatto con Ginzburg, e venne trovata, tra
le sue carte, una lettera di Altiero Spinelli detenuto per motivi politici
nel carcere romano. Accusato di antifascismo, Pavese venne arrestato e
incarcerato dapprima alle Nuove di Torino, poi a Regina Coeli a Roma e,
in seguito al processo, venne condannato a tre anni di confino a Brancaleone
Calabro. Ma Pavese, in realtà, era innocente, poiché la
lettera trovata era rivolta a Tina Pizzardo, la "donna dalla voce
rauca" della quale era innamorato. Tina era però politicamente
impegnata e iscritta al Partito comunista d'Italia clandestino e continuava
ad avere contatti epistolari con il precedente fidanzato, appunto lo Spinelli,
e le lettere pervenivano a casa di Pavese che, per accontentarla e senza
valutare le conseguenze, le aveva permesso di utilizzare il suo indirizzo.
Il 4 agosto 1935 Pavese giunse quindi in Calabria, a Brancaleone, e qui
scrisse ad Augusto Monti[9] "Qui i paesani mi hanno accolto umanamente,
spiegandomi che, del resto, si tratta di una loro tradizione e che fanno
così con tutti. Il giorno lo passo "dando volta", leggicchio,
ristudio per la terza volta il greco, fumo la pipa, faccio venir notte;
ogni volta indignandomi che, con tante invenzioni solenni, il genio italico
non abbia ancora escogitato una droga che propini il letargo a volontà,
nel mio caso per tre anni. Per tre anni! Studiare è una parola;
non si può niente che valga in questa incertezza di vita, se non
assaporare in tutte le sue qualità e quantità più
luride la noia, il tedio, la seccaggine, la sgonfia, lo spleen e il mal
di pancia. Esercito il più squallido dei passatempi. Acchiappo
le mosche, traduco dal greco, mi astengo dal guardare il mare, giro i
campi, fumo, tengo lo zibaldone, rileggo la corrispondenza dalla patria,
serbo un'inutile castità.Nell'ottobre di quell'anno aveva iniziato
a tenere quello che nella lettera al Lajolo definisce lo "zibaldone",
cioè un diario che diventerà in seguito Il mestiere di vivere
e aveva fatto domanda di grazia, con la quale ottenne il condono di due
anni.
Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Lavorare stanca. Nel
1936, durante il suo confino, venne pubblicata la prima edizione della
raccolta poetica Lavorare stanca che, malgrado la forma fortemente innovativa,
passò quasi inosservata.
Il ritorno a Torino
Verso la fine del 1936, terminato l'anno di confino,
Pavese fece ritorno a Torino e dovette affrontare la delusione di sapere
che Tina si era sposata con un altro e che le sue poesie erano state ignorate.
Per guadagnarsi da vivere riprese il lavoro di traduttore e nel 1937 tradusse
Un mucchio di quattrini (The Big Money) di Dos Passos per Mondadori e
Uomini e topi di Steinbeck per Bompiani. Dal 1º maggio accettò
di collaborare, con un lavoro stabile e per lo stipendio di mille lire
al mese, con la Einaudi, per le collane "Narratori stranieri tradotti"
e "Biblioteca di cultura storica", traducendo Fortune e sfortune
della famosa Moll Flanders di Defoe e l'anno dopo La storia e le personali
esperienze di David Copperfield di Dickens oltre all'Autobiografia di
Alice Toklas della Stein.
Il passaggio alla prosa
Nel frattempo incominciò a scrivere i racconti
che verranno pubblicati postumi, dapprima nella raccolta "Notte di
festa" e in seguito nel volume de "I racconti" e fra il
27 novembre del 1936 e il 16 aprile del 1939 completò la stesura
del suo primo romanzo breve tratto dall'esperienza del confino intitolato
"Il carcere" (il primo titolo era stato "Memorie di due
stagioni") che verrà pubblicato dieci anni dopo. Dal 3 giugno
al 16 agosto scrisse Paesi tuoi che verrà pubblicato nel 1941 e
sarà la prima opera di narrativa dello scrittore data alle stampe.
Si andava intanto intensificando, dopo il ritorno dal confino di Leone
Ginzburg da Pizzoli, negli Abruzzi, l'attività del gruppo clandestino
di "Giustizia e Libertà" e quella dei comunisti con a
capo Ludovico Geymonat. Pavese, che era chiaramente antifascista, venne
coinvolto e, al di qua di una precisa e dichiarata definizione politica,
iniziò ad assistere con crescente interesse alle frequenti discussioni
che avvenivano a casa degli amici. Conobbe in questo periodo Giaime Pintor
che collaborava ad alcune riviste letterarie ed era inserito alla Einaudi
come traduttore dal tedesco e come consulente e nacque tra loro una salda
amicizia.
Il periodo della guerra
Nel 1940 l'Italia era intanto entrata in guerra e
Pavese era coinvolto in una nuova avventura sentimentale con una giovane
universitaria che era stata sua allieva al liceo D'Azeglio e che gli era
stata presentata da Norberto Bobbio. La ragazza, giovane e ricca di interessi
culturali, si chiamava Fernanda Pivano e colpì lo scrittore a tal
punto che il 26 luglio le propose il matrimonio; malgrado il rifiuto della
giovane, l'amicizia continuò. Alla Pivano Pavese dedicò
alcune poesie, tra le quali Mattino, Estate e Notturno, che inserì
nella nuova edizione di Lavorare stanca. Lajolo scrive che "Per cinque
anni Fernanda fu la sua confidente, ed è in lei che Pavese tornò
a sperare per avere una casa ed un amore. Ma anche quella esperienza
così diversa si concluse per lui con un fallimento. Sul
frontespizio di Feria d'agosto sono segnate due date: 26 luglio 1940,
10 luglio 1945, che ricordano le due domande di matrimonio fatte a Fernanda,
con le due croci che rappresentano il significato delle risposte".
In quell'anno Pavese scrisse La bella estate (il primo
titolo sarà "La tenda"), che verrà pubblicato
nel 1949 nel volume dal titolo omonimo che comprende anche i romanzi brevi
Il diavolo sulle colline e Tra donne sole; tra il 1940 e il 1941 scrisse
La spiaggia, che vedrà una prima pubblicazione nel 1942 su "Lettere
d'oggi" di Giambattista Vicari. Nel 1941, con la pubblicazione di
Paesi tuoi, e quindi l'esordio narrativo di Pavese, la critica sembrò
accorgersi finalmente dell'autore. Intanto, nel 1942, Pavese venne regolarmente
assunto dalla Einaudi con mansioni di impiegato di prima categoria e con
il doppio dello stipendio sulla base del contratto nazionale collettivo
di lavoro dell'industria. Nel 1943 Pavese venne trasferito per motivi
editoriali a Roma dove gli giunse la cartolina di precetto ma, a causa
della forma d'asma di origine nervosa di cui soffriva, dopo sei mesi di
convalescenza all'Ospedale militare di Rivoli venne dispensato dalla leva
militare e ritornò a Torino che nel frattempo aveva subito numerosi
bombardamenti e che trovò deserta dai numerosi amici, mentre sulle
montagne si stavano organizzando le prime formazioni partigiane.
Nel 1943, dopo l'8 settembre, Torino venne occupata dai
tedeschi e anche la casa editrice venne occupata da un commissario della
Repubblica sociale italiana. Pavese, a differenza di molti suoi amici
che si preparavano alla lotta clandestina, si rifugiò a Serralunga
di Crea, un piccolo paese del Monferrato, dove la sorella Maria era sfollata.
A dicembre, per sfuggire ad una retata da parte dei repubblicani e dei
tedeschi, chiese ospitalità presso il Collegio Convitto dei padri
Somaschi di Casale Monferrato dove, per sdebitarsi, dava ripetizioni agli
allievi. Leggeva e scriveva apparentemente sereno. Il 1º marzo, mentre
si trovava ancora a Serralunga, gli giunse la notizia della tragica morte
di Leone Ginzburg avvenuta sotto le torture nel carcere di Regina Coeli.
Il 3 marzo scriverà: "L'ho saputo il 1º marzo. Esistono
gli altri per noi? Vorrei che non fosse vero per non star male. Vivo come
in una nebbia, pensandoci sempre ma vagamente. Finisce che si prende l'abitudine
a questo stato, in cui si rimanda sempre il dolore vero a domani, e così
si dimentica e non si è sofferto".
Alcune opere:
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